Affascinante mondo tra ricordo, sogno e visione.

Marika Lion

Basta passare la porta dell’atelier di Walter Davanzo per comprendere che si è difronte ad un’Opera onirica, dove la luce filtrata dalla porta rende tutto l’ambiente qualcosa di immobile, immutabile e ovattato.
Opere ordinate perfettamente e che dialogano tra loro in un silenzio totale, oggetti posti ovunque che creano un perfetto equilibrio, mentre un grande lampadario fatto di fil di ferro, ritagli materici, trasparenti e allegorici cattura lo sguardo come il guardiano di un faro.
Vengo così accolta nello studio dell’artista da un esercito di oggetti-memoria: una poltrona di cartone, stoffe rinascimentali, pizzi che sembrano aver vissuto nelle sontuose sale del palazzo Salina della famiglia Tomasi di Lampedusa, ex voto posti come icone di celebrità, colori e pennelli in riga come soldatini di latta, vecchie cartoline di rinomate località balneari del dopoguerra italiano, dischi 45 giri in vinile, cani in fil di ferro ma ormai in decomposizione e solo quando, camminando sul pavimento in assi di legno, scricchiolante, ci si rende conto di essere osservati da mille occhi che incuriositi attendono una partecipazione viva.
A rompere il ghiaccio è l’artista, che muovendosi nel suo spazio con grande armonia mi rende tutto più semplice, ed è così che inizia il dialogo per entrare in un mondo assolutamente infinito, senza riferimenti e privo di temporalità.
L’Opera di Davanzo è caratterizzata da una straordinaria capacità di ricomporre il ricordo interpretandolo o ricostruendolo quasi fosse un sogno mai concluso. Vecchi spartiti del nonno diventano storie attraverso le figure e i colori che trasportano ogni lettura o interpretazione. Fotografie d’infanzia e di famiglia che riassumono la storia e le emozioni di un’epoca felice, gli anni 50 e 60 e il boom economico italiano che Davanzo trasforma in opere immutabili ed eterne.
Il ricordo di scuola, il maestro e i compagni, gloriosamente dipinti con una figurazione quasi astratta, colori tenui marcati da un segno forte, probabilmente in riferimento agli entusiasmi emotivi vissuti dall’artista. Ricordi che si susseguono in ogni dipinto, oggetti di design o installazioni, che diventano i compagni di una storia autobiografica.
Per certi versi l’Opera di Davanzo ricorda il graffitismo di Jean-Michel Basquiat per il tratto e significato di esso, ma si avvicina anche a Francis Bacon soprattutto nei dipinti dove viene caricata all’eccesso la forza del suo apparente sogno. Ma è anche molto vicino ad un suo grande concittadino: Gino Rossi, artista trevigiano del ‘900 che si contraddistinse per dipinti dal colore disteso in superfici piane delimitate e un segno marcato. Ma è solo una lettura semplicistica, perché Davanzo va oltre una tecnica, sperimenta ogni giorno applicando contaminazioni di ogni genere, con diverse materie a volte esasperando la stessa opera, che arriva ad esprimere qualcosa di indefinito e sempre in movimento.
In lui emerge anche una particolare attenzione ai luoghi, sia quelli della sua memoria che quelli da lui scoperti e rivisitati, spesso sono ambienti che hanno visto e vedono il passaggio o la permanenza di molte persone, fabbriche dismesse, stazioni ferroviarie, luoghi pubblici e sociali come ex manicomi, tutti spazi senza una precisa collocazione. Ed è così che i suoi dipinti assumono la “cattedralità” non per misure ma per sontuosità, per essere stati posti frequentati da milioni di persone con i loro sogni, le loro speranze e tristezze.

E come in un “Dream” le figure si sdoppiano e diventano specchio l’una dell’altra, come un rinnegare l’una o l’altra personalità, un non voler ammettere la realtà ironizzando sul suo significato, camuffando il significato dell’immagine sovrapponendola a mappe, vecchi disegni o tessuti da arredamento.
Ciò che risulta difficile leggere nell’Opera dell’artista è il pensiero ultimo che dovrebbe consentire la giusta interpretazione, ogni suo pensiero viene impresso nelle tele ma viene nascosto da una patina impenetrabile che rende tutto avvolto in un mistero, ne deduco che la sua capacità di trasferire il sogno nelle sue opere è perfettamente uguale a quella di voler cercare di ricordare o spiegare un sogno appena concluso.
E poi il dettaglio, quelle tre “xxx” che siglano il pensiero, che consentono di non giocare con i ricordi, anzi diventano il sigillo che conserverà per sempre ogni memoria, oltre le tre x tutto diventa concluso e non è più possibile porre alcuna modifica, non vi è più comprensione ma bensì una simbolica e visionaria interpretazione.
Nella follia della follia del sogno, esisterà per sempre il grande sognatore e caro amico Walter Davanzo.