Walter Davanzo: Omaggio a Bobi Bazlen
Eugenio Manzato
Walter Davanzo è trevigiano verace: nato nel 1952 nel quartiere di Fiera – il nonno Giulio lavorava nella antica lavanderia Iseppi – , “emigrato” da bambino in Borgo Cavour, frequenta le elementari alla De Amicis con il mitico maestro Piazza; quindi le medie alla Stefanini, e infine l’Istituto tecnico industriale a Lancenigo.
Ma in famiglia vigeva una mentalità tutt’altro che provinciale: il padre Dino, motorista e collaudatore all’aeroporto di Istrana, conosceva e frequentava gli aviatori della royal air force; nella famiglia della madre era rimasto vivo il ricordo del bisnonno Antonio Salvini, nativo di Istrana e in relazione con l’avvocato Lattes: pianista e compositore aveva avuto un contratto con la Columbia e aveva vissuto per un lungo periodo a Buenos Aires, ma era stato per diversi anni anche direttore al teatro alla Scala a Milano; la zia Bruna, sorella della madre, era soprano e si esibiva nei teatri di tutta Italia, ma entrò nelle cronache nazionali per una vincita miliardaria all’Enalotto; e Walter, rimasto poco più che bambino orfano del padre, fu più volte suo ospite nella casa di Roma e nella villa in Val d’Orcia.
Dopo la maturità tecnica Walter, appassionato di fotografia, si iscrive al DAMS – Dipartimento Arte Musica Spettacolo – a Bologna, una facoltà recente, nuova nell’approccio a culture diverse, aperta alla modernità: qui avrà tra i suoi professori Renato Barilli e Luciano Anceschi, che lasceranno segni profondi nella sua preparazione. Seguirà un impegno professionale articolato fra cinema – realizza alcuni documentari – teatro, per il quale inventa prodigiose scenografie, fotografia, design e “pittura”: laddove le virgolette sono d’obbligo per lavori che spesso trascendono i dati tradizionali del genere.
Questo complesso percorso di vita e di formazione porta Davanzo a un approdo stilistico che rifiuta e supera il naturalismo in favore di una espressività caricata, comune anche ad altri artisti trevigiani della sua generazione: in un saggio del 2006 dedicato alla pittura del ‘900 a Treviso[1], nel tentativo di trovare affinità e distinzioni tra i pittori che avevano studio nel territorio trevigiano alla fine del millennio, avevo rilevato una comune carica d’inquietudine quale caratteristica di artisti sia pur di varia ascendenza e diversi nei risultati; e una connotazione decisamente espressionista notavo in Walter Davanzo, che si avvaleva “di segni tribali, del grafismo infantile, per esprimere una bellezza deformata e inquietante”. Sono proprio di questo periodo alcuni cicli di opere che l’artista propone attraverso mostre dal raffinato ordinamento allestitivo e dotate di cataloghi attentissimi alla cura editoriale, veri e propri “libri d’arte”. Tra di esse trovo particolarmente importante la mostra di Palazzo Piazzoni a Vittorio Veneto – “Die Berliner Bahnhofe”– in cui erano esposte le opere realizzate tra il 2005 e il 2006 a seguito di reiterati soggiorni a Berlino: la città, da pochi anni riunificata, si presenta animata e vitale agli occhi dell’artista; in particolare Davanzo è affascinato dalle stazioni della metropolitana, luoghi di “speranza” e di “lavoro” secondo le impressioni che egli annota accanto agli schizzi con cui ne ritrae gli aspetti, in cui è “un continuo andare e venire” di persone che egli agilmente e intensamente riprende. Sono vedute nello stile che da tempo gli è proprio e lo connota: “visioni evocate, e mai semplicemente riprodotte”, in cui la tensione al movimento esprime “l’errare del dubbio della ricerca”(Ranzi)[2].
L’empatia per il mondo mitteleuropeo rimane una costante nella produzione artistica degli anni successivi. Non è dunque un caso la fascinazione che esercita su di lui un personaggio come Roberto Bazlen: triestino di nascita (1902), la madre Clotilde Levi Minzi appartiene alla buona borghesia ebraica cittadina; il padre, tedesco di Stoccarda, è luterano; Roberto – per tutti “Bobi” – studia al Realgymnasium, scuola di lingua tedesca, e dunque cresce bilingue, ma studierà in seguito anche inglese e francese; la sua cultura vastissima lo porterà a frequentare e a lavorare nel mondo dell’editoria tanto che, insieme a Luciano Foà, fonderà la casa editrice Adelphi.
Il personaggio era noto fino a pochi anni fa a una ristretta cerchia di studiosi: udii per la prima volta il suo nome da Franca Malabotta a Trieste nel ’95 – preparavo in quel periodo per il Museo Bailo la mostra dei de Pisis della collezione del marito notaio[3] – incuriosito dalla fotografia di un giovane supino a braccia allargate su un prato fiorito:
“E’ Bobi Bazlen”.
“E chi è?”
Scosse la testa e fece un gesto con la mano come a dire: sarebbe troppo lunga da spiegare.
Al ritorno a Treviso ne cercai il nome nel Dizionario Biografico degli Italiani, quasi certo tuttavia di non trovarlo: invece la voce vi era, curata da Aldo Grasso, così che ne ebbi una prima inquadratura storica[4].
Nel 2017 Roberto Bazlen ha avuto finalmente una completa biografia per merito e cura di una raffinata scrittrice come Cristina Battocletti, e l’opera ha vinto il premio per la biografia alla XXXVII edizione del Premio Comisso nel 2018[5].
Walter Davanzo è un appassionato lettore dai gusti rari e raffinati: nell’affascinante labirinto del suo studio una delle stanze ospita una vasta biblioteca, dotata di una comoda poltrona degli anni ’40 dai braccioli di legno incurvato in ottima posizione di luce; e vi ha trovato posto immediatamente il libro della Battocletti.
Di certo la maggiore affinità tra Walter e Bobi Bazlen è la comune passione per i libri; ma anche le atmosfere mitteleuropee di Trieste hanno giocato a favore di un fertile innamoramento: fertile perché la conoscenza delle vicende biografiche e l’approfondimento della cultura di Bazlen hanno ispirato al nostro artista una serie di opere di rara intensità.
Sono dipinti su carta, ma una carta speciale: Davanzo ha infatti utilizzato vecchi mappali del territorio triestino risalenti ai primi anni del Novecento; e le scritte traspaiono o sotto i colori o in campi liberi, rafforzando il carattere mitteleuropeo dei lavori. Ovviamente egli ha tratto spunto dalle fotografie che corredano il libro della Battocletti, trasfigurando tuttavia le immagini delle persone – sono tutti in qualche modo dei “ritratti” – secondo il suo personale stile antinaturalistico e “antigrazioso”. Ne sortisce un ciclo di grande fascino, in cui la sua rilettura rende attuale e vivo il personaggio di Bazlen.
Anche la scelta delle immagini è significativa: se i “dipinti” tratti dalle foto di Bobi bambinetto con la madre, o quelle da adulto con Luciano Foà o con Adriano Olivetti, sembrano assecondare in qualche modo una narrazione biografica, i soggetti ricavati dai ritratti in cui Bazlen compare da solo raggiungono risultati di intensa trasfigurazione poetica. Una foto ritrae Bobi da bimbo – all’età apparente di non più di quattro o cinque anni – vestito, secondo una usanza abbastanza diffusa all’epoca a Trieste, in divisa da soldato austroungarico; ma, nonostante l’elmetto con la punta aguzza, l’atteggiamento è tutt’altro che marziale: la testa leggermente piegata e l’espressione timida ne denunciano l’animo tenero, e prefigurano l’intellettuale un po’ schivo che egli diventerà da adulto. Da questa immagine Walter Davanzo trae uno sparuto ritratto a colori, ricavandone poi una sagoma, quasi da tirassegno, ripetuta sul fondo di una carta puntinata.
La foto che più colpisce Davanzo è tuttavia uno scatto di Bazlen adulto – probabilmente della fine degli anni venti – eseguito dall’amica Gerti, alias Margarete Frankl, figlia di un ricchissimo banchiere ebreo di Graz, ragazza libera e scanzonata di cui Bobi era forse innamorato senza speranza, perché fidanzata, e in seguito moglie, dell’amico Carlo Tolazzi. Nella foto Bazlen appare in figura – tagliato alle ginocchia – elegantissimo in completo tre pezzi e cravatta contro un muro: il formato è orizzontale e il campo è occupato per tre quarti dal muro con effetto straniante e metafisico. Bazlen, le mani in tasca, la giacca aperta ad evidenziare il gilè – si intuisce un taglio d’alta sartoria – guarda l’obiettivo spingendo leggermente in avanti la testa con espressione un po’ stralunata. Conquistato da questa foto Davanzo ne sottolinea la forza e l’intensità replicando più e più volte il ritratto, ma senza ossessione, con varianti che ne rinnovano ogni volta la vitalità, quasi delle “variazioni Goldberg” trasferite in pittura: del resto Walter è un appassionato intenditore di musica – si vedano al proposito i notevoli precedenti famigliari – e un’altra stanza del suo studio-labirinto, dotata di impianto e ricca di una scelta collezione di dischi, è dedicata all’ascolto.
Anche la tecnica è particolarmente studiata: olio, pennarello, resina, vernice industriale, stesi per sovrapposizione, formano spessori e stratigrafie che conferiscono a queste “pitture su carta” pregnanza materica.
A suggello e riassunto del ciclo una grande carta geografica dell’Europa – una di quelle vecchie carte fisico-politiche corredo imprescindibile delle aule scolastiche d’epoca – è ricoperta da un esercito di sagome in serigrafia di “Bobi-soldatino”; ma il carattere giocosamente ironico della composizione è svelato dalla sequenza – omaggio agli scatti ripetuti dei pionieri della fotografia – di ritratti in piedi del “Bazlen-intellettuale” nella parte inferiore della composizione. Sulla carta geografica, appena individuata nella dissolvente opacità data dalle figurine sovrapposte, risaltano Italia e Austria ritoccate coi colori della reciproca bandiera: a indicare le due patrie che hanno fornito il supporto culturale all’intelligenza del protagonista.
[1]Eugenio Manzato, Treviso, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, tomo primo, Milano (Mondadori Electa) 2006, pp. 169-220
[2]Gianluca Ranzi, Berlino ora zero, in Berliner Bahnhofe. Walter Davanzo, Catalogo della mostra. Vittorio Veneto, Palazzo Piazzoni, s.d. (2006)
[3]A.A. V.V., Filippo de Pisis. La collezione Malabotta, Treviso, Museo Civico “Luigi Bailo”. 1° ottobre-10 dicembre 1995. Catalogo, Milano 1995
[4]Aldo Grasso, Bazlen, Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXXIV, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1988.
[5]Cristina Battocletti, Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste, Milano 2017