Walter Davanzo
Ennio Pouchard
Pittore, fotografo e designer trevigiano, è nato nel 1952, sotto il segno dei Pesci, e in armonia con le affermazioni degli astrologi è incline a muoversi e a decidere rapidamente cambiamenti anche radicali, tanto da arrivare a confondere gli altri. Ciò non gli sottrae, tuttavia, da un lato una grande disponibilità allo slancio e al sacrificio, dall’altro il bisogno di difendere con passione la propria libertà di essere e di agire, soprattutto per quel che riguarda i rapporti con l’arte, guidati e retti dalla memoria e da un senso del vero svincolato da quanto, nei riguardi di una stessa cosa, può significare nella mente di altri. La memoria, per lui, attualizza sensazioni e sentimenti lontani, anche adattando la loro essenza in funzione di passate azioni più o meno influenti; il suo vero è ciò che la rende coerente con il progredire del proprio pensiero. Da un lato c’è il vissuto che non deve andare perduto e che egli richiama nei dipinti senza recriminazioni (“… in fondo tutto quello che conta non ci lascia mai”, trovo scritto in un suo appunto); in parallelo c’è quel quid che gli consente di reinterpretare con disincanto quanto man mano riemerge. Lo fa con pennellate dai colori violenti (rossi cadmio, arancioni, tutti i possibili blu e verdi acidi) che, a parere di molti, hanno le corposità della pittura espressionista; ma di ben altra natura è lo spirito che anima la sua arte, infondendole una freschezza spesso permeata di sottile ironia e ritmi che, anche nelle opere di dimensioni monumentali, fanno percepire il susseguirsi di curiosità, pulsioni, fantasie, atmosfere da favola, emotività, affetti.
Nelle biografie dei tanti cataloghi, pubblicati finora, ricorre la citazione di pittori – diversi tra loro – che l’hanno colpito: Bacon, Munch, Manguin, Varlin, Matisse, Van Dongen, Vlaminck. Di ognuno qualcosa può essergli rimasto dentro, ma nessuno in particolare ha condizionato la sua creatività. Sono altre le circostanze che hanno concorso a formare il sedime di quella sua personalità di artista fuori dalla norma: i viaggi, specialmente in Germania, Francia e Africa mediterranea; i sogni legati al padre aviatore, perso a dodici anni; e la fretta di dedicarsi interamente alla fotografia e alla pittura, interrompendo gli studi universitari per proseguire nell’attività espositiva, avviata non ancora ventenne. I soggetti dei dipinti – aerei, paesaggi urbani, spiagge, cani, ritratti, nudi di donna, gambe femminili, gambe maschili, gambe infantili, … – li sviluppa da sempre per serie omologhe, che lo impegnano singolarmente anche a lungo. In essi ama introdurre sia fattori d’incongruità – un pilota in tenuta da volo, seduto non al posto di comando ma su una poltrona del salotto buono – sia pizzichi di humour – un cane immerso nella tazzina da caffè – quasi volesse testimoniare in tal modo uno sguardo decongestionato da durezze esistenziali.
Altrettanto naturale per lui è l’incalzante adozione di tecniche diverse – dai collage (pure materici) agli interventi grafici, anche su supporti insoliti (antichi mappali, partiture musicali, giornali, manifesti slabbrati) ¬– portatrici di inedite e felici vibratilità.
Nelle opere più recenti rinascono immagini di tempi lontani: ancora il mito del padre, le scene di un collegio detestato, la folla dei compagni delle elementari, la presenza insolita di un’addetta alle macchine lavatrici. C’è un nesso che lega ognuna all’altra ed è la figura dell’artista stesso, che a volte non resiste alla tentazione di diventare attore del suo quadro: eccolo allora trasformato in coniglietto bianco (lo dice lui) davanti a una schiera di bimbi mascherati da coniglietti in costume nero, pronti per una recita; e spuntare come un Batman bambino alle spalle di una coppia vista seduta su un divano alla Biennale di Venezia, in un’atmosfera di reciproco disinteresse, cui, come titolo, pone una domanda: Cosa fate lì seduti?